venerdì 12 novembre 2021

 

LA SODDISFAZIONE UNA EMOZIONE GRADEVOLE

Dal vocabolario apprendiamo che la soddisfazione è gradimento, compiacenza per il carattere pienamente rispondente, positivo o favorevole di un fatto: è stata una bella soddisfazione per lui vincere il concorso; talvolta, a proposito del piacere derivante da una puntigliosa ricerca di rivalsa personale.

Ogni tanto, pare che siamo costretti a imbottire la nostra esistenza di svariati oggetti e occupazioni che in ipotesi dovrebbero ridarci la felicità. Ciononostante, nel corso del nostro percorso quotidiano succede di smarrirsi e di non realizzare quello che in realtà dà la felicità. Per ciò, pare che ci manca il tempo necessario di sorbire un caffè con un conoscente o anche di sederci a udire brani piacevoli di musica.

È necessario conoscere perfettamente quali sono i nostri tempi di lavoro e le ore trascorse ad oziare. Di non permettere a nessuno di interrompere mentre svolgiamo piacevoli momenti di passatempo, in quanto essi sono più essenziali di quanto pensate.

Nel momento in cui il nostro organismo è in armonia con il nostro intelletto, il complesso delle cose va bene e allora abbiamo la sensazione di benessere. Per ciò l’esercizio fisico è in questo modo fondamentale per l’equilibrio emotivo: l’attività fisica toglie lo stress, mitiga lo stato depressivo e consente di conseguire un buon equilibrio tra corpo e mente. Quindi ritagliamoci un po’ della nostra quotidianità per fare dell’attività fisica e per allentare la tensione. Farà una rilevante disparità per la nostra psiche.

Controllarsi è in effetti uno sbaglio. Evitiamolo, tuttavia prendiamo una boccata di ossigeno e concediamoci di provare varie emozioni, virtuose o cattive che siano, non hanno alcuna rilevanza. Spesso erroneamente pensiamo che è sconveniente avere risentimento o paura, perciò le eliminiamo. Ciò nonostante, queste emozioni sono parte importante della nostra esistenza e quindi necessita viverle in modo aperto.

Per concludere il nostro discorso diciamo che per essere soddisfatti della propria esistenza, di sé stessi e del nostro operato quotidiano e di ciò che possediamo, proviene da un diuturno impegno costruttivo sul sé che va avanti per mezzo di un cammino non sempre facile; per questa ragione, per quanto sia essenziale restare coscienti della propria fortuna, non conviene mai sminuire tutto ciò che ci capita. Essere soddisfatti non significa per forza avere una esistenza impeccabile, senza impedimenti o di attimi tenebrosi. È proprio al fine di essere soddisfatti, e quindi, felici, che dobbiamo individuare il momento in cui stiamo affrontando una crisi più grande di noi e, di seguito, allorquando sollecitiamo sostegno psicologico. Nel caso in cui si abbia il timore di non farcela da soli dalle proprie difficoltà è essenziale identificarlo, accettarlo e chiedere aiuto a gente qualificata in grado di permetterci di recuperare in noi le legittime risorse per tornare ad affrontare la vita col sorriso sulle labbra.

                                                           

 

 

giovedì 1 luglio 2021

 

 

 

          LA DELUSIONE È UN SENTIMENTO DI TRISTEZZA

 La delusione, frammento costitutivo della nostra vita, è un sentimento di tristezza e di dolore. Origina quando le attese, le speranze rimesse in qualcosa o in una persona non trovano verifica nella realtà. Non sempre quando rimaniamo delusi riusciamo ad accettare la botta. Crediamo che tutti gli avvenimenti negativi, grandi e piccoli, succedono solamente a noi. Ciò nonostante, anche se la delusione è tra i sentimenti umani una che ferisce profondamente l’anima, se arriviamo a considerarla come qualcosa naturale che può accadere a tutte le persone, certamente otteniamo di smaltirla dalla nostra mente con più facilità.

 Senza dubbio, alcune conversazioni con degli amici o conoscenti sulla delusione di certi comportamenti danno una mano a scaricarci, sicuramente, ma nel contempo non fanno altro che farci precipitare ancora di più. Continuare a replicare quanto siamo restati delusi e quanto taluni soggetti si siano comportati malamente con noi sarà utile soltanto a far bruciare ancora di più quel disinganno.

 Se a volte qualche persona ci ha deluso, se ci ha preso in giro, possiamo confessarlo benissimo agli altri, ma nel contempo non mutiamoci in vittima. Buona norma è quella di non continuare a riflettere e a non annodarla al dito, diversamente il filo della delusione si tramuterà in una vera catena che non ci permetterà di procedere nelle nostre quotidiane fatiche. Alla maggioranza delle parsone succede di attraversare momenti di rabbia, di tristezza e frustrazione di fronte a una delusione, tuttavia non bisogna ingigantire queste emozioni negative.

 Da quanto abbiamo detto sin qui appare chiaro che rimanere delusi è parte integrante della nostra esistenza. Ora per attutire senza subire tanti danni la batosta allorquando accade, non bisogna restare attaccati ad essa. Ma quale azione possiamo adottare per tenere a bada l’attacco negativo della delusione?

 Secondo studi di psicologia, quando si rimane delusi, la storia non deve continuare, perché rimuginando il fatto accaduto la delusione da piccola diventerà grande.

 Inoltre, bisogna tenere la mente concentrata su altre attività, quali gli impegni quotidiani, i nostri hobby. Soprattutto evitare quel dannoso rimuginare interno.

 Un buon sistema per scaricare l’ansia è quello di raccontare il crollo psicologico subito, ma bisogna anche terminare in fretta l’argomento. Liberare la mente del disagio fa sicuramente bene, e sembra un ottimo metodo quello di raccontare ciò che ci è successo ad altri che però ci capiscano, ma cerchiamo di non continuare il discorso più del solito.

 Ancora, porre maggiore attenzione agli avvenimenti migliori che ci accadono. Spesso, infatti, siamo più concentrati sulle nostre disavventure da non avvertire gli avvenimenti belli che giornalmente accadono intorno a noi.

 Otre tutto, bisogna tenere presente che vi sono tante persone sincere. Sicuramente di qualcuna non siamo stati soddisfatti del comportamento. Ma non ci amareggiamo. Infondo sono in maggioranza le persone leali, franche che con la loro disponibilità ci fanno capire che non tutte ci hanno ingannato.  Infine, cerchiamo di non essere inflessibili giudici dei comportamenti altrui, perché anche noi a volte possiamo sbagliare. Nessuno, infatti, è perfetto, per cui è necessario essere umili e lasciar correre le delusioni altrui e anche le proprie.    

martedì 2 marzo 2021

 

                LA PAZIENZA È UNA FACOLTA’ POSITIVA

La pazienza è una facoltà che dà una mano a rinviare o rimuovere la risposta a possibili ostilità, conservando un comportamento indifferente. La sua particolarità dunque è quella del controllo delle proprie emozioni.

Da quando abbiamo mutato il nostro modello sociale in un ambiente di “subito” non siamo più capaci di attendere sino al giorno dopo, al ritorno a casa, al giungere di una persona. Sembra che ogni cosa ci preme per decidere all’istante ogni faccenda, concludendo tutto subito e senza perdere tempo per decidere, all’incirca come a evitare di uno stato ansioso che ci soffoca.

Mentre passeggiamo si chiacchiera del più o del meno oppure spediamo messaggi persino quando siamo in macchina o mentre siamo a tavolino a sorbire un caffè, accade ciò in quanto in nessuna scuola abbiamo appreso l’arte di attendere. La presente tecnologia, oltre a ciò, va di sostegno della nozione di “subito”. Bisogna riconoscere che siamo in modo continuo in contatto con diverse persone, reperibili in ogni momento del giorno, per cui non troviamo mai il tempo di staccare la spina e rimanere soli con noi stessi. Accade così che nell’intento di precorrere il giorno dopo, si rischia di perdere la certezza del momento.

La comunità incita all’inquietudine, alla cadenza nevrotica, all’esaurimento e noi ci lasciamo condurre privi di curarsi degli esiti finali, fino a che all’improvviso ne siamo danneggiati. Una volta o l’altra siamo sopraffatti dalla razionalità di non aver vissuto per noi, più che per altre persone, per l’apparato, per i vari enti.

Come se non ancora fosse sufficiente, ignorando l’attesa ci condurrà a dover fare fronte a esiti psichici. Si verificheranno casi patologici e discordie soggettive ed interpersonali, dato che non ogni cosa è secondo i nostri desideri e le altre persone non sono in grado di donarci qualsiasi desiderio e detto fatto.

Ciononostante, è pensabile trascorre l’esistenza con tolleranza attendendo che gli avvenimenti accadano in maniera normale, priva di costrizioni, priva di pressioni, e frequente senza neppure tentare di trovarle. Sappiamo che dopo ogni tramonto, c’è un’alba, è ciò accade indipendentemente da noi: è possibile solamente beneficiarci di quei pochi minuti e, nell’intervallo, valutare positivamente quello che già possediamo, tutti quegli oggetti dei cui ci siamo scordati in quanto molto occupati ad esternare il desiderio seguente.

Per alimentare la pazienza, è indispensabile far scendere la frequenza delle battute, raccoglierci al momento e viverlo con consapevolezza. Con la sicurezza e la serenità di aver imparato che il domani giungerà con impegno che lo associamo con virtuose operazioni in buone condizioni e comportamenti utili.

La pazienza ci concede di vivere una esistenza in maniera operosa, però serena. Ci mettiamo in cammino, proseguiamo per la nostra via e seguiamo la nostra esistenza, adattandoci al suo procedere. Non necessita aspirare che concretezza proceda differentemente, si discute di saper attendere e conservare la serenità, permettendo che i fatti accadono solo quando spettano che succedono.

                                                                                               

domenica 24 gennaio 2021

 

 

LA MALATTIA RENDE VULNERABILI

 

La malattia intesa come uno stato patologico per alterazione della funzione di un organo o più organi (Il Nuovo Zingarelli) ci fa diventare vulnerabili, fragili nel corpo e nella mente, per questo ci sentiamo spaventati e, soprattutto, disorientati. Con altre parole, la malattia porta con sé un profondo malessere psicologico che, in alcuni casi, può arrivare a cambiare anche in negativo il sistema di vita di ciascuno di noi. Inoltre, con diversi valori prognostici la patologia porta con sé dolore, solitudine, limitazioni alle normali attività quotidiane e a volte, nei momenti di maggiore sofferenza, di fragilità ci pone di fronte alla morte con tutte le domande per il credente e non, le paure, le angosce che generano in noi il pensiero finale della vita.

  Dal punto di vista psicologico, ciascuno di noi si comporta in modo diverso nell’accettare e vivere la malattia. Essere malati d’influenza, per esempio, è una situazione del tutto diversa che essere affetti di una grave patologia neurologica o tumorale. D’altronde nessuno è contento di essere ammalato. Per cui, quando si è colpiti da una patologia, si è pervasi da un senso d’angoscia e di disperazione, da questi momenti di umana esperienza di fragilità, originano le reazioni psicologiche più diverse perché varie sono le modalità di affrontare la singola malattia.

  Di sopra, abbiamo illustrato come ogni paziente si costruisce una propria modalità per vivere le debolezze e le fragilità generate dalle malattie. Ora passiamo ad analizzare i cambiamenti psicologici dei malati rispetto al concetto evolutivo della malattia e, nello specifico, delle categorie acute e croniche.

  Si parla di malattia acuta quando un morbo si manifesta improvvisamente e virulentemente e il suo effetto non comporta alla base nessun rischio per l’individuo, inoltre il suo perdurare è ritenuto in media breve, e ciò non lascia spazio a una riflessione e comprensione profonda della gravità. Ma pur vivendo in un contesto di temporanee limitatezze e di emozioni ferite, il paziente non perde mai la speranza per il futuro.  

  Quando la malattia da acuta perdura nell’individuo per un periodo indeterminato, spesso per l’intero corso della vita, si trasforma in cronica: l’esperienza del tempo cambia profondamente, i giorni sono sempre uguali, viene meno la speranza verso il futuro. Per cui, come afferma Eugenio Borgna, in ogni paziente non può non chiedersi con animo doloroso e angosciato cosa sarà ancora la mia vita, quali rapporti interpersonali saranno possibili, quali problemi quotidiani e quale impegno di lavoro mi saranno possibili, come accoglieranno gli altri, soprattutto la mia famiglia la mia debolezza e la mia fragilità, e quale aiuto sarà loro possibile darmi.

  Il primo punto di riferimento del malato cronico è l’ospedale. In queste strutture sanitarie, l’ammalato può trovare trattamenti adeguati al suo caso specifico, al di fuori della così detta “alleanza terapeutica” tra medico e paziente. Il medico ha il compito di prospettare al paziente e ai familiari, i vantaggi delle nuove terapie mediche e chirurgiche che riguardano il suo caso. Spesso, però, i sanitari si dimenticano – per mancanza di disponibilità - che dietro quel “caso” c’è una persona fragile, vulnerabile ferita dal dolore e dall’angoscia; e sarebbe invece sufficiente uno sguardo dolce o un sorriso ad alleviare il dolore psichico.

  Raramente, per osservazione personale, gli effetti di una malattia cronica si limitano al solo individuo malato, perché l’ansia, l’angoscia che prova l’ammalato la prova anche la persona che gli è vicina.

  La presenza in casa di un paziente con patologia cronica incide, più o meno profondo, su tutti i componenti del nucleo familiare, che diventano più vulnerabili, sostengono impegni quotidiani spesso molto gravi, derivanti dal lavoro di cura, dalla continuità dell’impegno, dell’intensità emotiva generata dal costante confronto con la sofferenza psicofisica e la morte.

 In conclusione, scoprirsi ammalato, soprattutto cronico, l’esaurimento delle forze fisiche ed emozionali causato dal morbo, diventa fonte di fragilità, di vulnerabilità per l’ammalato e anche per il familiare, che giornalmente lo assiste.

                                                                                                                      

                                                                   

giovedì 1 ottobre 2020

LA FELICITA’, UNA EMOZIONE PRIMARIA

 

LA FELICITA’, UNA EMOZIONE PRIMARIA

Nell'attuale società, la ricerca della felicità è avvertita come un bisogno totale e personale, oppressi come siamo dalla nostra impotenza dinanzi alle imprevedibili catastrofi naturali, dall'angoscia di uno sterminio atomico, o dal timore di una totale distruzione del mondo culturale e civile che con sacrifici abbiamo edificato e dal ritorno alla barbarie attraverso uno dei tanti ricorsi storici.

 Per questo motivo, la domanda comune è se l’umano possa conseguire la felicità e soprattutto come questa condizione psichica sia stato concepita dai vari studiosi: alcuni hanno evidenziato la componente emozionale, come il provare buon umore, altri sottolineano l’aspetto cognitivo, come ritenersi soddisfatti della propria vita. Certe volte la felicità è rappresentata come soddisfazione, contentezza, appagamento, certe volte come gioia, piacere, divertimento, e altre  ancora  come uno stato  naturale del cervello che si genera in modo spontaneo se si agisce nel modo giusto.

 Oggi, però, la felicità per molte persone è associata al concetto di benessere e a volte, a uno stato di benessere materiale. I ricercatori invece non accettano questa valutazione che non è quella di riconoscere l’aspetto educante come un cammino verso una sorte favorevole con l’obiettivo di ricchezza, ma un cammino della crescita evolutiva dell’umano verso uno stato di totalità, dove la felicità riconquista la sua dimensione di umano come tale.

 Come abbiamo appena detto, la felicità percepita come benessere è un modello molto seguito attualmente. In questi ultimi decenni, gli studiosi hanno favorito teorie e dibattiti in vari settori, dalla sanità all'economia alle scienze sociali, di cui le scienze dell’educazioni fanno parte.

 Nel contempo alcuni studi di psicologi definiscono la felicità come uno stato autonomo dagli eventi esterni, ma dipendente invece da come esse vengono interpretati, in quanto originano dall'attitudine delle persone  verso gli interessi materiali e/o immateriali.

  Secondo le ricerche di altri psicologi, esistono diversi aspetti che contraddistinguono le persone felici da quelle che non lo sono. Questi aspetti sono le basi, atteggiamenti e pensieri, che una persona può apprendere per essere favorevole alla felicità.

 Si parla di una specie di addestramento fatto di conoscenze e comportamenti che se attuati possono portare alla ricercata felicità. Sono idee che possono produrre un sostanziale cambiamento nel comportamento, favorendo un mutamento nelle convinzioni di un soggetto.

 Prendiamo ora in visione alcuni punti per illustrare il metodo per diventare felici.

  Per prima cosa, dicono i ricercatori, la persona, che si conserva giornalmente più dinamica,  ha la possibilità di rendere migliore il livello di benessere psicofisico. Impegnare le energie in operosità coinvolgenti, accattivanti e piacevoli rende soddisfatti e di esito più felici.

 Va da sé che l’impegno speso, quando risulta produttivo, provoca soddisfazioni, ma perché abbia un concreto esito positivo su se stessi deve essere teso ad attività ritenute ricche di significato, come un tipo di lavoro appagante.

 Importante è di non dedicare tempo alle ansie quotidiane, rimugini, si ha meno tempo per essere felici. La felicità di una persona aumenta allorché si riducono i pensieri negativi, infatti le persone felici si preoccupano di meno della maggior parte della gente.  

 Per essere realmente felici è certamente utile impegnare le proprie energie sulle attività presenti, dando importanza ad ogni giorno e godendo delle opportunità quotidiane.

 Infine, eliminare i sentimenti e i problemi negativi e dare invece valore alla felicità.

 Insomma, se si rimane irretiti in pensieri negativi che si crede siano la possibile soluzione al problema, ma che al contrario portano ad allontanarsi dalla realtà, non ci si concede la possibilità di affrontare i fallimenti e viverli per quello che sono, senza generalizzare mai quello che accade ma legare gli eventi alla situazione. Solo in questo caso si possono valutare le proprie risorse, rimettersi in gioco puntare diritto all’obiettivo: essere felici.

                                                                                  

 

lunedì 1 giugno 2020

IL RANCORE È UN’EMOZIONE O SENTIMENTO


Quando subiamo un torto o un’offesa sperimentiamo una serie di vissuti negativi, prima di tutto il rancore verso chi ci ha fatto del male, il rancore però non è un’emozione istintiva, che scaturisce immediatamente in seguito all'insulto, ma è un vissuto emotivo che è sostenuto da una lunga meditazione solitaria e dal rimuginare
 su quanto accaduto.
 Per quanto riguarda l’argomento dei rancori dipende da alcuni fattori, quali per esempio l’età: gli adolescenti sono inclini a nutrire rancore spesso per episodi congiunti all'amicizia, all'amore, ai rapporti familiari e scolastici; le persone adulte, invece, al di là dell’amore e della famiglia, nutrono rancore e risentimento per eventi collegati al lavoro e spesso alla politica. 
Alcuni studi definiscono il rancore un’emozione (o un sentimento?) negativa che ci rende la vita difficile, in quanto ci alimenta di rabbia e di diffidenza, contaminando la nostra mente.
 È un’emozione (o un sentimento) alquanto ambigua, silente, usurante, continuamente in sviluppo: il rancore non lascia respirare chi ne è vittima, contaminando la qualità della vita e dei rapporti con gli altri. Un’emozione (o un sentimento) presente nell'essere umano sin dall'origine ma che nel contesto storico che viviamo, con l’articolata caratteristica ma alquanto transitoria del cervello contemporaneo, può far nascere serie difficoltà mentali e disturbi fisici di una certa entità, oltre a rappresentare un probabile pericolo per l’oggetto dei suoi attuali interessi. Senza alcun dubbio un fatto è sicuro: se non si prendono provvedimenti per renderlo innocuo o modificarlo, il rancore col tempo si sviluppa sino al punto in cui non è più possibile metterlo sotto controllo. Questo è un buon motivo per prendere subito provvedimenti integri e adeguati quando a volte siamo presi dal rancore.
 Ottime abilità per evitare che compaia il rancore sono: provare rabbia in modo giusto senza eccedere e, principalmente, identificare e manifestare il dolore che si avverte.
 Se valutiamo che la gran parte delle persone non conosce o non ha avuto l’occasione di apprendere a manifestare la propria rabbia nella maniera adatta e neanche verso dove indirizzare il vigore di questa emozione, ebbene è abbastanza comprensibile che si realizzino più difficoltà che possibili soluzioni.
 Nel momento in cui ci arrabbiamo, di norma è perché la nostra ansia ha oltrepassato ogni oggettività. Pertanto, bisogna ricordare che stiamo dando vita a una crescita di energia per avere più vigore e risolvere il problema che ci ha irritato. La questione è in che modo rendiamo esplicito questa irritazione.
 Questo, unitamente alla manifestazione di volontà di rendere manifesto il nostro dolore senza biasimarci, farà in modo che non si sviluppi maggiormente il rancore nel nostro interno.
 Comunque, se è impossibile eludere la presenza del rancore, dovremmo esaminare attentamente e modificare le nostre opinioni su ciò che ci ha ferito. Anziché svalutare la nostra persona, dobbiamo restituirci la facoltà di comunicare come ci sentiamo e di cosa abbiamo bisogno, in questo modo ci rendiamo coscienti di essere feriti e arrabbiati e avremo così la possibilità di comunicarlo alla persona interessata nel modo adatto. 
 Si parla, dunque, di essere coscienti di ciò che accade e d’ individuare come ci sentiamo, piuttosto che agire in modo istintivo, di là a capire che non tutte le persone possono elargirci tutto ciò che abbiamo desiderato avere o di cui abbiamo necessità, non soltanto per la condizione in cui ci troviamo nel momento, ma anche in quanto a volte non sappiamo comunicare correttamente le nostre urgenti e giuste richieste. 

venerdì 1 maggio 2020

L’ANSIA EMOZIONE NORMALE O PATOLOGICA


Parlando di ansia, la maggioranza delle persone conosce perfettamente a che cosa ci si riferisce: l’ansia è un’emozione primaria di per sé utile all'adattamento. Se pensiamo, infatti, che senza ansia e paura, l’essere umano non avrebbe avuto la possibilità di sopravvivere ai numerosi pericoli dell’ambiente. L’ansia ha dunque
funzione adattiva, che il nostro organismo adotta per avvisarci di un imminente pericolo.
 Escludendo questi casi limiti, pensiamo che se l’attacco d’ansia permane il tempo utile per far fronte adeguatamente un’attività quale, a esempio, un esame, un colloquio di lavoro, una particolare circostanza in cui è essenziale una rilevante quota di attenzione e impegno, dice che in uno stato emotivo adeguato all'acquisizione di un nostro obiettivo. Una certa quota di ansia è dunque utile nelle nostre attività quotidiane, quando, però, in alcune situazioni l’ansia supera una certa soglia allora diventa uno stato problematico, può immobilizzare l’individuo, trasformarsi in panico, in breve, può diventare patologica.
 L’ansia patologica si differenzia da quella consueta per il fatto che è caratterizzata da uno stato permanente di tensione psichica, che, a differenza di ciò che accade nelle normali ansie, impedisce al soggetto di modificare le sue risposte, facendo precipitare le sue prestazioni e unendosi a sensazioni di disagio e sofferenza. 
 Nella società contemporanea l’interesse dell’uomo è transitato dalla pura conservazione della specie alla ricerca degli ottimi risultati personali e della notorietà sociale.
 Quello su cui ci si confronta e che assorbe sempre più l’uomo contemporaneo è il pensiero del successo collegato al lavoro, all'avere beni di consumo (casa, auto, abbigliamento, tecnologia domestica, vacanze) che mette a rischio con molta facilità di essere coinvolto anche il valore affettivo: famiglia, coppia, amici.
 Entro questo modo di vedere i ritmi di vita aumentano velocemente, gli eventi lasciano poco spazio alla riflessione se non attraverso pensieri preconfezionati, tipo: sto andando male…devo dare di più del mio collega.
 Allorquando questi modelli di esprimersi diventano i soli pensieri intorno cui gira la nostra esistenza, ecco giungere l’ansia come suadente timore di non avere più nulla. L’ansia di scoppiare, di restare indietro, di essere esclusi.
 Va da sé che i turbamenti si trasformano in vere e proprie fissazioni, così profonde, persecutorie, che irrompono anche negli attimi e nei momenti inattesi, impedendo l’operosità della vita quotidiana.
 L’apparire dell’ansia allora raffigura l’avvenimento interno che ci affretta a sostare a meditare sul significato delle nostre iniziative, da cui siamo stati certamente dominati. Oltre la qualità delle nostre attività e degli esiti di vita conseguiti, l’ansia esegue in ogni caso la sua attività fondamentale: pone in confronto le nostre azioni automatizzate e ci costringe al raffronto con noi stessi.
 L’ansia prende origine da un esempio culturale (che può essere individuale o sociale) del non desiderare mai di fermarsi un attimo a meditare, poiché fermarsi è sprecare tempo prezioso, uno sfoggio che non possiamo attribuirci, perché colui che si arresta è perso, perché noi abbiamo l’obbligo di essere sempre al posto giusto nell'attimo giusto è conoscere sempre cosa svolgere. L’ansia ci rammenta che tutte queste cose non sono altre che fantasie, ingannevoli abilità, agiti emotivi, che ci danno soltanto illusione di essere proprietari della nostra vita ma col passare del tempo ci logorano dentro e ci ostacolano di vivere dimensione di stabilità e in salute psicofisica.
 L’ansia, quindi, ha il compito di fare a pezzi il suddetto inganno, a mandare via e a metterci nello stato da fare una fermata, aspirare un lungo respiro e confrontarci con noi stessi dentro una circostanza riorganizzata. 
 Possiamo concludere dicendo che l’ansia normale è adattiva, invece quella patologica è disadattiva.